lunedì 21 gennaio 2013

La Campagna dello Spread

Goldam Monti Sachs presentando le strategie (?) d'investimento ha affermato coram populi londinese che lo spread berlusconiano a 575 punti base era ingiustificato. I datori di lavoro del Bocconiano hanno così messo fine alle storielle bersaniane che giustificano la cacciata di B come la salvezza del Paese. Ne aggiungiamo una noi: dopo l'esperienza montiana che il vostro Culatello di Piacenza vuole riconfermare, tutti gli indicatori economici e sociali sono peggiorati, ci ha portato la miseria che una volta lambiva solo una piccola parte della società. Goldman Sachs ha spiegato che il differenziale fra i bond governativi italiani con scadenza a dieci anni e i corrispettivi tedeschi, nel finale del 2011, doveva essere circa di tre punti percentuali in meno rispetto a quanto era negoziato sul mercato secondario. In altre parole, l’Italia non meritava uno spread così elevato. Gli investitori istituzionali hanno venduto i titoli di Stato italiani per irrazionalità o per un concreto timore sulla stabilità del Paese? È questa la domanda che si stanno ponendo in tanti. Cosa è successo fra il maggio 2011 e il luglio dell’anno scorso, prima che la Banca centrale europea (Bce) cristallizzasse i mercati finanziari? Senza le rassicurazioni di Mario Draghi, arrivate a fine luglio in modo perentorio, l’Italia avrebbe continuato a pagare il 5% in più rispetto alla Germania per rifinanziarsi sul mercato obbligazionario. In realtà, è possibile che l’Italia torni presto sotto pressione. Non tanto le elezioni politiche imminenti, ma soprattutto la recessione e la debolezza strutturale dell’economia italiana, hanno spinto in alto il Fair spread di Goldman Sachs ai massimi livelli dal 1996. La prima componente dello spread fra BTP e Bund è quindi meramente politica, neppure una crisi politica può giustificare una discrepanza così elevata fra lo spread reale e lo spread sui mercati obbligazionari secondari, ma esiste una seconda componente più pericolosa: il contagio. Fra luglio e novembre 2011 gli investitori internazionali, specialmente asiatici e statunitensi, hanno iniziato a guardare l’Europa con estrema diffidenza. Con la Grecia vicina al collasso, la Spagna sull’orlo di una richiesta di sostegno alla comunità internazionale e l’Italia pronta a capitolare, l’Europa era vista come un continente vicino alla rovina. Si scatenò l’isteria di vendite sui titoli governativi dell’eurozona, con una prevalenza sui Paesi dell’area periferica, fra cui l’Italia.  Infine, c’è un terzo fattore che sta dietro alla differenza fra reale e percepito. L’Italia, a differenza di altri Paesi, ha dei fondamentali economici che risentono dei gap strutturali. L’immobilismo politico, unito alle mancate riforme del mercato del lavoro, alle mancate liberalizzazioni e alle mancate privatizzazioni, ha fatto il resto. Oggi, l’Italia sta peggio di un anno fa, chi lo dice a Bersani?