mercoledì 30 gennaio 2013

Un Polillo di Verità

Le ultime previsione della Banca d'Italia non lasciano alcuno spazio all'ottimismo. Il 2013, per molti versi, sarà ancora peggiore dell'anno che ci siamo lasciati alle spalle. Per il Pil è prevista un'ulteriore caduta dell'1 percento, dimezzata rispetto al 2012, ma destinata ad abbattersi su un contesto sociale ancora più fragile, a causa della lunga malattia. Le famiglie sono provate. I risparmi fortemente diminuiti. I redditi reali fanno già registrare le prime flessioni. Un quadro allarmante. Sono realistiche queste previsioni? Difficile rispondere con sicurezza. Due considerazioni fanno tuttavia propendere per una risposta affermativa. A risultati, più o meno analoghi, giunge la maggior parte degli organismi internazionali: Fmi, Ocse, Commissione europea, ecc. Gli stessi, come del resto la Banca d'Italia, con il trascorrere del tempo, in questi ultimi anni, sono stati costretti a rivedere verso il basso le loro stime iniziali e ritardare l'avvio dell'auspicata ripresa. Quindi è bene non cercare alibi. Sarà quello, con ogni probabilità, lo scenario con cui dovremo misurarci. Dei tanti negativi ch'esso incorpora, le maggiori preoccupazioni riguardano il sociale. La disoccupazione è prevista in aumento e destinata a raggiungere un livello che, solo alcuni anni fa, si riteneva impensabile: il 12 percento della forza lavoro, con un ulteriore incremento dell'1 percento rispetto all'anno in corso. Medie di Trilussa. Se il dato si scompone sia da un punto di vista territoriale che generazionale e per sesso, i risultati sono drammatici. Stiamo bruciando intere generazioni, con una più forte accentuazione a danno (le donne) dell'altra metà del cielo. Mentre sul fronte del Mezzogiorno, "niente di nuovo", per riprendere il titolo di un grande romanzo di Erich Paul Remarke. La guerra continua, nella relativa indifferenza dei media e dei politici. Ma fosse solo questo: l'orizzonte assume tinte catastrofiche se solo si considerano le ore perdute per la cassa integrazione. A novembre dello scorso anno avevano raggiunto un valore pari al 16 per mille delle ore complessivamente lavorate, per un totale di oltre 1 miliardo. Si consideri che non molti anni fa (il 2009) eravamo all'1,1 per mille. Percentuale più o meno stabile a partire dal più lontano 2004. Il confronto tra queste cifre mostra il baratro della crisi in cui sono finite le speranze di una grande massa di lavoratori. Sommandole si arriva all'11 percento del totale degli occupati. Il che fa crescere il tasso effettivo di disoccupazione al 23 percento. Non siamo molto lontani dallo spettro del 1929. Che fare quindi per arrestare questa deriva? Non abbiamo risposte immediate. Non le abbiamo noi, ma, quel che più importa, non mostra di averle la politica, al di là delle generiche esortazioni. E allora non resta che richiamare tutti a un maggior senso di responsabilità. Si metta questo tema al centro della campagna elettorale, mettendo da parte le alchimie di semplice potere. Ci si confronti con questo dato di realtà e si propongano adeguate soluzioni. Poi il resto, le alleanze, la forma di Governo, la ripartizione degli incarichi istituzionali, verrà. E sarà immediatamente intellegibile da parte di un elettorato che assiste attonito a un dibattito lunare, dove tutto conta, meno le reali prospettive dell'Italia.

P.S.
Ha ragione la Petitti, governare Rimini è un'altra cosa