sabato 12 ottobre 2013

Saccomanni

Un nostro abituale lettore ci ha rimproverato di recente, invero molto cortesemente, di essere troppo pessimisti sulle possibilità dell’Italia, che egli invece intravede promettenti. In particolare ci critica per aver dato spazio a previsioni troppo negative affermando che, alla fin fine, “nulla di drammatico” è successo. Almeno finora. Poiché la risposta che vorremmo dare al cortese lettore la preferiremmo completa ed esauriente, abbiamo affidato il compito di redigerla al nostro Cancelliere. Come al solito non ci ha delusi, sintetizzando in pochi punti le ragioni delle sue e di conseguenza nostre previsioni per il futuro. Quale futuro? Diciamo il prossimo biennio. 1) La ripresa è una fragile illusione. La produzione industriale italiana, sempre stando alle statistiche, è in apparenza meno impantanata e ferma di qualche mese fa, ma sperare nella ripresa è pericoloso e illusorio. Il Pil nel 2013 scenderà almeno dell’1,8-2%. La previsione del governo per il 2014 è +1%. Tutti gli istituti economici internazionali però si aspettano meno, il consensus, cioè l’orientamento prevalente degli analisti, è 0,5%. Un Pil più basso implica un rapporto con il deficit più elevato e dunque il rischio di nuove manovre. E il governo, a parte il miliardo per l’Iva nel 2013, peraltro già rimangiato, si è già preso impegni per il 2014 che valgono 12 miliardi di euro. Quasi tutti da trovare con la prossima legge di stabilità. Al 90% saranno nuove tasse e tassette 2) Infatti tagliare la spesa è praticamente impossibile Questo Saccomanni, è doveroso riconoscerlo, ha provato a dirlo, al contrario dei suoi predecessori, fin dalla sua prima intervista da ministro. La spesa pubblica al netto degli interessi, cioè senza contare il costo del debito, sarà 714 miliardi nel 2013, 723 nel 2014, 726 nel 2015 e 739 nel 2016. Sostenere, come fa Renato Brunetta, che essendo così ingente nessuno si accorgerà se si taglia un miliardo, è ignorare la situazione italiana. Ed è soprattutto voler ignorare che la politica italiana, più che in ogni altro Paese del mondo occidentale, esiste solo perché funzionale e propedeutica alla spesa pubblica. Si veda in proposito la “ritirata”, nascosta dai Media, sull’abolizione delle Province “”resuscitate” pochi giorni fa da un emendamento PD-PdL oppure l’Alitalia da “risalvare” (sic…) cinque anni dopo il primo, costosissimo “salvataggio”. Lo Stato è il “Pubblico” in generale ormai “intermediano" oltre metà del PIL. Al massimo si tenterà di frenare l’aumento, ma senza riforme molto profonde che riducano il perimetro dell’azione dello Stato, pura e assoluta illusione, è impossibile sperare di finanziare politiche costose con limature alla spesa. Esempio tipico la cosiddetta riduzione del cuneo fiscale, tentata, con esiti nulli, da Prodi nel 2006. Vi è però il capitolo della corruzione su cui preferisco sorvolare. Ci sono volumi in argomento. 3) L’Europa costa cara  anche per colpa dei tedeschi . . . non è una battuta. La linea della Germania sulla gestione dei Paesi in crisi ha fatto lievitare il nostro debito pubblico al di là delle nostre colpe. Visto che la Bce non poteva intervenire, Berlino non voleva aumentare la liquidità per timore dell’inflazione, i singoli Stati hanno prestato miliardi prelevati ai contribuenti, ai due fondi europei di emergenza, Efsf ed Esm, che poi giravano i capitali ai Paesi in difficoltà (Grecia, Portogallo, Irlanda, …). Tra il 2011 e il 2012, l’Italia ha versato 50 miliardi di euro e nel 2013 altri 5,8. Quasi 60 miliardi per costruire uno strumento da cui l’Italia non ha ricevuto un centesimo … Sotto il profilo economico l’operazione è neutra (credito = debito) ma sotto il profilo finanziario è stata un disastro rendendo drammatica la crisi di liquidità che ha avvelenato l’economia italiana e dalla quale il nostro Paese sembra (anzi è …) incapace di uscire. 4) Lo spread conta molto più di Letta e Berlusconi e Alfano Giocare con i conti non migliora la reputazione. Un Paese molto indebitato (debito al 132 per cento del Pil) e poco credibile paga interessi più elevati. Gli interessi passivi che lo Stato pagherà nei prossimi anni dovrebbero essere questi: 83,9 miliardi nel 2013, 86 nel 2014, 88,8 nel 2015, 91,8 nel 2016. E già così sono tantissimi. Ma il dato più inquietante è che queste cifre si basano sull’ipotesi che lo spread, cioè la differenza di costo tra debito italiano e tedesco, continui a scendere. E scenda all’incira a 200 nel 2014, a 150 nel 2015 e a 100 nel 2016. Oggi è a 250. Se non comincia ad abbassarsi subito, il conto finale sarà ancora più elevato. Quindi tutti i conti fatti oggi sono dubbi e dubbi per eccesso di ottimismo (esattamente come avvenuto sempre negli ultimi anni). Come dicevo qualche settimana fa lo constateremo nell’autunno 2014 e ancor più nel 2015.  5) Il rigore continua, a dispetto delle dichiarazioni di queste ore. Qui veniamo alle note veramente dolenti per i prossimi anni: anche se pochi parlamentari ne sembrano consapevoli, il Parlamento italiano a fine 2011, ha dato il via libera alle nuove regole di bilancio europee che prevedono, sottoscrivendo i vari trattati di cui il più noto è il Fiscal Compact, tra l’altro, il bilancio pubblico in pareggio (deficit strutturale, che non considera gli effetti della crisi, pari a zero, deficit nominale sotto il 3 per cento), e una riduzione ogni anno del 5 per cento della parte di debito che supera il 60 per cento del Pil. Secondo il Governo, noi saremmo in regola fino al 2015, ma soltanto perché le tasse continueranno a essere altissime, con una pressione fiscale reale attorno al 60 per cento e se tutte le premesse di crescita fossero mantenute, pur in presenza di una tassazione enorme. Ogni intervento espansivo e ogni scostamento sui punti precedenti, mette a rischio gli obiettivi , e se il deficit superasse il 3 per cento l’Italia tornerebbe sotto procedura d’infrazione. Con vigilanza rafforzata e quindi “commissariamento U.E.” (modello Grecia per intenderci). Comunque quel 70% di PIL da “ammortizzare” in 20 anni è di fatto impossibile per l’Italia. Quindi le ipotesi sono due: o l’Italia farà default o il “Fiscal Compact” dovrà essere rivisto. Ma non sarà facile ed occorrerà vedere a quali condizioni ci sottoporranno i poco comprensivi partners. 6) Bisogna risparmiare soldi. Per darli alle banche. Le sofferenze bancarie sono arrivate a circa 150 miliardi. Le grandi banche sono fragili, hanno bisogno di soldi (Mps cerca 2,5 miliardi) e non ci sono azionisti italiani disposti a conferirli. Finora l’Italia è uno dei Paesi europei che ha dato meno soldi (relativamente …)al sistema creditizio, ma adesso i timori stanno aumentando. E lo Stato deve essere pronto a intervenire. Come dimostra l’annuncio della rivalutazione delle quote della Banca d’Italia. Un espediente del Governo per rendere più solidi i bilanci delle banche azioniste dell’istituto di vigilanza. A dire il vero il Governatore di Bankitalia, Visco, ha smentito la fragilità bancaria italiana il 7 ottobre scorso, ma pochi vi hanno creduto. 7) Gli Enti previdenziali “privati” Sono di fatto in default da tempo. Delle “Casse”, nessuno si interessa perché ci si ricorda solo all’INPS, ma si tratta di due o tre milioni di futuri percettori di pensioni che non la vedranno mai, percettori ipotetici, dunque. Ma per questi, nei prossimi 5/10 anni, una qualche soluzione andrà concretizzata per non trovarci con 2/3 milioni di nuovi “barboni”. Idem per i cosiddetti “lavoratori atipici” INPS per i quali l’espressione “truffa del secolo” ha veramente un senso. Con la benedizione dello Stato, che a questi poveracci ha fatto versare in passato ed oggi contributi altissimi in cambio di niente in futuro. 8) L’indebitamento dei privati sta aumentando vertiginosamente. Gli 800 (ottocento) miliardi di crediti di Equitalia verso gli italiani (anche se sono solo un sesto di imposte, il resto sono sanzioni ed interessi, ma sono comunque debiti), dichiarati da Befera in primavera proprio a Rimini, sono come una pistola puntata alla tempia del settore privato. Al momento non sono nemmeno conteggiabili gli altri debiti verso gli Enti di riscossione locali. Ma anche qui la situazione è esplosiva. In ogni caso è un falso dire (come si ripete ancora) che: “lo Stato (italiano) è povero, gli italiani sono ricchi”. Pochi italiani lo sono e ormai il ceto medio dopo sei anni di crisi si è sfinito e sbriciolato nelle sue categorie portanti. Due: commercianti (veri) e artigiani sono morte. La terza, quella dei professionisti, è moribonda. Restano le nicchie, ma nel complesso, non contano nulla a livello “macro”. Anzi contano in negativo perchè vivono “per” e “sul” pubblico, ad esempio i vari monopoli privati creati dalla politica in questi ultimi decenni.