lunedì 30 marzo 2015

Il Cancelliere: "la Quinta del Sordo"

Ovvero prima dell’Apocalisse. Mentre tutto intorno a noi si sente il rullare dei tamburi di una guerra apparentemente inevitabile non abbiamo resistito a chiedere un’opinione al Cancelliere. Il quale questa volta ci ha risposto, come fa ogni tanto con una specie di sciarada storico letteraria molto difficile per noi, ma forse no per i nostri lettori. Ve la mandiamo come l’abbiamo ricevuta. “Warum diese dunklen Ahnungen, mein Herz? / Perchè questi neri presagi, o cuore mio?” “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella tua filosofia”. Mi sono recato dopo tanti anni alla nostra “marina”. Sono andato a vedere il mare dal porto. E mentre ascoltavo l’infrangersi delle onde, e il sole cominciava a nascondersi dietro le nuvole di ponente, mi ha invaso quella malinconia che ho sempre provato lì. Dove sembra tutto inizi e finisca – così mi pareva da bambino e ora è lo stesso; anche se sono vecchio. Come giustamente disse Berdjaev, il paradosso dei tempi moderni consiste nel fatto che l’umanesimo si e rivoltato contro l’uomo. La sacralizzazione dell’intelligenza ci ha spinti sul bordo del precipizio, e il logos, una volta dominato il mondo, invano ha preteso di rispondere a ciò che è sostenibile solo come enigma o come pianto. Siamo arrivati all’ignoranza assoluta attraverso la ragione. In bocca a un personaggio, Virginia Woolf si domanda: “Con quale nome dobbiamo chiamare la morte? E qual è la frase per l’amore? Non lo so. Ho bisogno di un linguaggio elementare come quello degli amanti, parole come quelle usate dai bambini”, L’umanesimo occidentale a disprezzo dei suoi cantori si è spezzato, e a fine secolo ci trova incapaci di farci domande sulla vita e sull’uomo. O meglio, ci permette (per un po’ ancora…?) di farli, ma sappiamo che non ci sarà risposta. Una volta affermatasi nel potere, assoluto tramite la tecnologia e il tentativo, quasi riuscito, di cancellare ogni passato. La ragione prometeica è stata incapace di risolvere i problemi fondamentali, infatti non era sufficiente rubare il fuoco per illuminare la storia. Sollevando gli ultimi veli, l’uomo ha scoperto la propria impotenza e la propria precarietà. Se in questi ultimi decenni abbiamo perduto un’opportunità, è stata quella di costruire una storia in cui l’uomo fosse protagonista, invece di essere un nuovo condannato. Ma è più corretto concludere che era un’opportunità apparente. Mai esistita. Anni fa, come un Cristo tra i ladroni, a Higueras in Bolivia venne assassinato e mutilato l’ultimo mancego. Anche se era nato in Argentina. Spesso ho pensato che quel crimine fosse uno dei simboli di questo mondo che, dopo aver sradicato la poesia, ha innalzato al suo posto la durezza e la paura e le menzogne ripetute dal Mainstream. Non sappiamo, ma lo possiamo intuire, in mezzo a quale profonda tristezza, quando in cerca dell’Assoluto –che non trovò- incontrò la mediocrità e il disprezzo, il giovane e sfortunato Rimbaud scrisse le prime righe del suo Inferno: “ Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino dove si apriva ogni cuore e ogni vino fluiva. Una sera, mi misi in grembo la Bellezza. E l’ho sentita amara. E l’ho ingiuriata.” Elie Weisel ha detto che ad Auschwitz morì l’uomo e l’idea dell’uomo. E ciò che è successo in epoche in cui sembrava essersi prodotta una rottura. E così è oggi, si avverte l’incombere di un taglio tale che corriamo il rischio di venire assorbiti dal vuoto. Un vuoto dominato dalla burocrazia tecnologica e (forse…) governato da pochi pazzi. Come Dostojevski afferma nei Demoni, l’essere umano si sente attratto tanto dalla creazione come dalla distruzione: questo è uno di quei momenti. Viviamo come se fossimo arrivati ai limiti ultimi dell’esistenza. Non siamo più cosi sicuri di poter dire insieme a Goethe che “l’umanità finirà per trionfare”. Al contrario, all’orizzonte sembrano apparire spettri sinistri e udirsi gli ultimi rantoli. Basta guardare qualsiasi notiziario o leggere i titoli di un giornale purchessia e andare al di là della totale falsità della superficie per capire che ci stiamo trasformando nelle sinistre creature che Goya dipingeva in mezzo a grotteschi conciliaboli. “Il sonno della ragione genera mostri”, profetizzò “El sordo” che di giorno ritraeva le grasse signore di corte, e poi si rinchiudeva nella sua “quinta” a fare quei dipinti, solo apparentemente assurdi, che smascheravano il gelido positivismo dell’Illuminismo. Non a caso sono sono chiamati “le pitture nere”. Alla fine siamo giunti al “mondo spezzato” di cui ci ha parlato Camus o, se si vuole al “mondo nuovo” di Coudenhove Kalergi, poco importa, mentre la realtà cade a pezzi, l'uomo illanguidisce, lacerato psichicamente e spiritualmente. E altamente probabile che abbia “perso” Camus e vinto Kalergi. E’ anche certo che come ci disse Ernesto Sabato profeticamente prima di chiudere la sua vita centenaria, non comprenderemo mai del tutto ciò che volle dirci Kafka, il quale espresse, nel “Castello”, una delle opere più rivelatrici e profonde del XX secolo, lo sconcerto e la solitudine dell’uomo contemporaneo in un universo duro ed enigmatico. La caduta dell’uomo in una realtà in cui la burocrazia e il potere hanno occupato lo spazio della metafisica e degli dèi. Smarrito in un mondo di gallerie e corridoi, ostacoli e biforcazioni, tra paesaggi torbidi e angoli oscuri, l’uomo trema davanti all’impossibilità di una qualsiasi meta e al fallimento di qualsiasi incontro.
Il Cancelliere