mercoledì 24 aprile 2013

La Mossa della Civetta

La balcanizzazione del Pd si sta riproducendo anche a Riccione. Ma contrariamente a quanto sta succedendo a Roma, qui il gioco è truccato. Persa ogni speranza di ricompattare un partito che in questi ultimi tre anni ha sofferto di una singolare e devastante sindrome autoimmune, bloccato dall’immobilismo insipiente di Cinemamuto e dalla inadeguatezza del suo Nazareno, si corre ai ripari e come nella Sicilia, quella di Leonardo Sciascia, si adotta la mossa della civetta. La regola è semplice, così semplice che nella sua ovvietà risulta a volte incredibile. Come una civetta che appare a mezzogiorno. E come dice appunto Sciascia sono le coincidenze a fare il resto, a far sembrare nuovo quello che nuovo non è. La diaspora delle vecchie glorie dal Pd in frantumi, a Riccione, non si fermerà . Ne seguiranno altri. Vedrete. Denunceranno una improvvisa infedeltà ai valori dimenticati e alla progettualità tradita. Si faranno da parte come amanti delusi, come amici addolorati. Pronti a riconoscere negli altri le cause del proprio fallimento. Negli ostacoli frapposti, nelle ragioni negate, nelle scelte sbagliate, nelle imposizioni subite, nei silenzi raccolti. Ci si allontanerà denunciando, qualche volta anche offendendo. Ma attenzione è solo una recita, una rappresentazione a soggetto. Si esce per contare, per indurre e per condizionare. Ma non basta. A chi esce si regala un'indulgenza. A chi resta si dà un nemico da scongiurare, una disfatta da evitare. “È fulmine, è grandine, è polvere, è siccità, acqua che rompe l'argine e lascia una riga nera, al primo piano della città”. “C’è qualcuno che bussa,baby, aspettavi qualcuno?”, canta De Gregori. E allora occorre fermarlo. E così la civetta arriva a mezzogiorno, raccoglie la delusione, la rabbia e la povertà, le mette in una scatola di cartone, e ne fa ricatto, negozio, proposta a chi è li pronto ad accettarli, accoglierli e si preprara con finto sacrificio e spudorato orgoglio a ricominciare. Le coincidenze di Sciascia, un segretario apposta, qualche delusione da fingere come argine alla diaspora, un lontano rancore che ormai si è fatto di aria, un cambiamento, illusione, già lì da rottamare, un nemico alle porte, un vecchio amico di sponda che fa la verginella da ritrovare. Un gioco di specchi su cui come il capitano Bellodi, io “mi ci romperò la testa” e il Nazareno ci si specchierà. 
alberto nardelli