venerdì 10 marzo 2017

Sguardi periferici e corpo collettivo

Anche nella nostra Città, come in altre (poche), si ripropone per l'ennesima volta il dilemma di collocazione delle etnie nomadi locali, senza soluzione, ma con un continuo ripiegarsi sui medesimi problemi, interrogativi, perplessità. Da una parte le ragioni legislative e sovranazionali impongono una collocazione precisa di queste comunità nomadi, ma dall'altra esistono oggettivamente tutte le incertezze delle mancate regole di ingaggio o di integrazione prescritte. Potrei quasi mettermi nel mezzo delle due ragioni, respingendole entrambi pari merito, ponendo un quesito a qualunque soluzione approntata: dove sono i fascicoli, le pratiche, le indagini sociali effettuate in questi 30 anni di asilo gratuito a questa etnia locale? Cerco e chiedo una qualsiasi forma di indagine scritta che mi offra l'immagine ed i risultati di oltre 30 anni di campo nomadi di via Islanda. Nulla, il vuoto totale ed anche meno. Mi chiedo, in mancanza di oggettive prove documentali, come posso decidere e progettare nuove aree di insediamento e come al contrario posso dire no sulla base di un sentimento diffuso ma opinabile in ogni suo frangente. Credo di trovarmi di fronte all'ennesimo pasticcio sulle questioni italiane: il falso problema. Prima di attuare una qualunque soluzione, il problema va compreso, studiato e ridotto ai minimi termini come una qualunque equazione matematica complessa, risolvendo ogni fattore con il suo valore: coerenza e risultato. Coerenza e risultato non possono certo vantarli l'Amm.ne Locale, avendo dimostrato ampiamente e pubblicamente l'incapacità amministrativa e di garanzia della gestione del sito. Altrettanto la stessa Cittadinanza, che ora coinvolta negli interessi più personali ed intimi, si sveglia dall'incanto ipnotico di quanto si è consumato e si consuma in via Islanda. Da quella via e su quella via, per decenni si sono levate proteste di ordine pubblico, decoro, legalità, e quant'altro di civile convivenza senza che nessuno mostrasse il benchè minimo interesse, solo per l'esiguità del cartello di protesta: questo è un dato di fatto. Gli sguardi periferici ora entrano in un corpo collettivo: era ora! Per quanto complicata possa sembrare questa equazione, la riduzione ai minimi termini dei grandi valori che sono in esercizio, vanno spogliati di tutti gli orpelli caritatevoli e assistenziali introdotti ripetutamente in questi anni: non è concepibile che siano organizzazioni umanitarie locali a farsi carico o economicamente incaricate (e questo è peggio), di una questione facente capo all'ordine pubblico ed al rispetto di ogni forma di legalità vigente sul territorio nazionale. E' compito, è dovere, è obbligo delle Istituzioni ed il primo attore è il Sindaco, intervenire con metodo e autorità su questioni di questa natura, con un programma capillare e relazionato circa i percorsi attuativi di integrazione sociale e urbanistica per persone e cose. Con questo non intendo chiacchiere da assemblea cittadina, con la solita caciara delle parti contendenti, ma una coerente e doverosa assunzione di responsabilità civile e penale al patto di adesione: sia da parte degli Amm.ri, sia dei Soggetti contraenti il patto. O ti dichiari nomade e te ne vai dove desideri o accetti oneri e onori di una residenza. Non voglio sentire parlare un'Amm.re o Assessore sia di integrazione sociale, di diritti acquisiti senza che esso o essa che sia, siano garanti  di un percorso attendibile e concreto nel tempo. Un Amm.re a carica politica, precario per definizione, è in grado di garantire qualcosa? Assolutamente no e tutti lo sappiamo. Queste sono le ragioni che comprendo nella perplessità dei Quartieri: chi garantisce il processo ed il percorso di integrazione sociale ed urbanistica? Tutte le restanti argomentazioni sono invettive, ne utili, ne propedeutiche alla soluzione del problema. Non dimentichiamo che il problema c'è e va risolto inderogabilmente. Un'esempio arriva dal progetto di Padova con Opera Nomadi: integrazione documentata, sia scolastica per gli adolescenti, sia lavorativa per gli adulti, all'interno di un percorso non assistenzialistico ma di attività e contributo personale. I padri delle famiglie (ex) nomadi, si inseriscono all'interno di una cooperativa edile e si costruiscono la propria casa. A queste condizioni, direi per altro consoni nella nostra comunità, non esisterebbe un riminese, uno contrario; do ut des! L'aggettivo integrazione è già implicito nel medesimo di Comunità: non vi è alcun bisogno di invocarlo in ogni assemblea o commissione per giustificare atti improvvidi e vessatori a carico della Collettività. Diversamente da tutta questa visione, esiste la carità demagogica e l'assistenzialismo curiale di questa Amm.ne fatto di oneri tributari senza appello ai risultati. I dettami e gli operandi alla soluzione del quesito e del falso problema ci sono, ora vediamo se esistono le capacità oggettive del Sindaco e dell'Ass.re fiduciario a risolvere questa banale e pietosa controversia. In fondo è di questo che si tratta. Purtroppo, conoscendo ampiamente gli usi ed i costumi di questo territorio e non volendo tradire l'onestà della personale riflessione in un lungo trattato di richiami, indagini e norme, mi resta il vago presagio di vedere concluso questo ennesimo episodio, in una discarica di scampoli di umanità abbandonati in qualche quartiere dimenticato da Dio e dagli uomini.
 Ernesto Reali