martedì 28 maggio 2013

Eppur Non Si Muove

L’opinione del Cancelliere: eppur non si muove...almeno per un anno ancora... Siamo nel sesto anno della “grande contrazione”. La disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale aumentano; oltre ai suicidi si registrano i primi casi di malnutrizione infantile; migliaia di famiglie sono state sfrattate dalle loro case; i salari continuano a scendere, ma lo stesso non accade ai prezzi dei beni e dei servizi. Questi ultimi, spinti dalle imposte indirette, sono raddoppiati. La gente ha capito che la tempesta non è passeggera e potrebbe durare ancora per anni. Tuttavia vi è una domanda che aleggia senza risposta: perché la società non si ribella? Perché il sistema non esplode? Quanto può reggere l’Italia prima che esploda la rivolta e lo stesso vale per la Spagna, il Portogallo ecc. Da un punto di vista sociologico è difficile pensare a un concorso di cause più favorevole a una detonazione sociale. In primo luogo, gli effetti della crisi sono devastanti. Come fa a sopravvivere un paese con sei milioni di disoccupati? La cosa peggiore è che la disoccupazione continua ad aumentare, e la domanda interna crolla vertiginosamente. I risparmi e gli aiuti che hanno permesso a molti di tirare avanti stanno esaurendosi. Tra coloro che hanno un lavoro, molti percepiscono ormai l’equivalente di un mezzo stipendio di sussistenza nell’economia sommersa e attraverso i contratti a termine. Commercio ed artigianato sono praticamente morti. Le inclementi politiche di austerity imposte dalle varie troike (FMI, BCE,CE) ai “Mediterranei” e all’Unione europea in genere servono solo a dissanguare i paesi e allontanare la ripresa. Anziché investire per bilanciare il calo della domanda, i governi stanno aumentando tutte le voci di spesa dell’amministrazione e le imposte. In questo modo non soltanto si aggrava la crisi, ma si compromette la copertura sociale per le persone colpite dalla disoccupazione e dalla povertà. Sembra in particolare che il governo italiano e l’Ue abbiano stabilito che l’uscita dalla crisi deve passare per l’impoverimento generale e brutale della maggioranza degli europei. Il significato dell’espressione “svalutazione interna”, sempre più usato nei ministeri economici, dall’FMI e dalla BCE, è precisamente questo. In parole povere: disoccupazione di massa e valore dei salari attorno ai 500 € (non a caso il valore greco...) In più è cresciuta la percezione di una divisione dei sacrifici enormemente iniqua. Il caso più clamoroso, ma non certo l’unico, è quello degli sfratti. Lo stato stanzia importanti aiuti, inasprisce la fiscalità e si indebita fino al collo per salvare le banche, che in questi anni hanno attraverso politiche scellerate annientato i risparmi di due generazioni ma non fa nulla per porre fine al dramma di coloro che non riescono a pagare il mutuo. L’insensibilità dei poteri pubblici e dei grandi partiti davanti a questa tragedia e invece la straordinaria “comprensione” verso i peggiori vertici bancari ha contribuito ad alimentare l’indignazione di buona parte della popolazione. Come accade naturalmente in momenti come questo, la speranza viene meno. Nonostante la propaganda del governo e la promessa di una “ripresa imminente” ripetuta da anni, la popolazione ha capito che stiamo attraversando una fase duratura di depressione, e dunque ci attendono anni difficili. Moltissimi anni. Ancora siamo penalizzati da un governo inefficace quando addirittura non patetico nella sua assoluta incompetenza. E composto da partiti corrotti. Il panorama del Parlamento italiano è desolante ma altri non sono da meno. Sembra incredibile, ma in uno scenario così doloroso abbiamo una “Maggioranza Unica” fatta dai due partiti che, insieme, hanno creato questo stato di cose. “Maggioranza Unica” che gode della propaganda totalitaria della grande stampa e della TV. Nonostante tutte le calamità che ho appena enumerato, però, la gente, ancora, non si ribella. Al massimo, oltre ad uccidersi...non va a votare. Che sta succedendo? Varie sono le risposte. Da una parte, ormai non ci sono più alternative. Oggi non esiste, o sembra non esistere, un’ideologia o, più modestamente, un’idea in grado di proporre un cammino alternativo a quello attuale o di organizzare una resistenza collettiva. La popolazione si lascia dominare dalla rabbia e dalla paura che si traduce però, solo, nell’alienazione e nel rifiuto impotente del sistema economico e politico ma non si organizza in un movimento che possa rappresentare una minaccia collettiva ai poteri costituiti organizzati ormai appunto nel “Partito Unico". “Partito Unico” che, a ben vedere, domina come e più di prima. Inoltre, nonostante l’impoverimento generalizzato, l’Italia mantiene, nonostante la falcidia, un residuo di livello di sviluppo considerevole, e sappiamo che le democrazie sviluppate sono straordinariamente stabili e possono sopportare quasi tutto. In questo senso c’è un dato storico molto significativo: non è mai successo che una democrazia con un pil pro capite inferiore a quello dell’Argentina del 1976 sia collassata. L’Italia (così come la Spagna) ha un pil pro capite ancora molto superiore a quella soglia, nonostante la crisi degli ultimi anni. Per questo motivo è prevedibile che ci siano alcuni, magari molti, episodi violenti e tensioni, ma non una rivolta generalizzata. Ciò accade in parte perché lo stato è molto potente e, oltre a controllare l’informazione, può facilmente reprimere la protesta, e in parte perché ci sono molte famiglie proprietarie di immobili o con “riserve liquide” in titoli di stato che non sono disposte a rischiare il loro pur piccolo futuro in avventure dal risultato incerto. Lo sviluppo porta con sé un alto livello di conservatorismo politico in tutti i settori della società. Ad esempio finchè resterà forte il pubblico impiego, potrà crollare il mondo attorno, ma il consenso al “Partito Unico" resterà maggioritario o comunque alto. Alto a sufficienza da permettere, attraverso opportune alchimie politiche, di neutralizzare le forze antagoniste. Le recenti proposte di legge del PD contro i movimenti (M5S in primis) ne sono la prova evidente. Il sintomo più chiaro del fatto che la gente, per quanto esasperata, non intende correre rischi, è l’assenza di un dibattito pubblico, in Italia così come in tutto il resto d’Europa, sull’opportunità di restare all’interno dell’eurozona. Nonostante l’unione monetaria si sia rivelata una micidiale trappola per topi, quasi nessuno è pronto ad accettare le conseguenze a breve termine di un’uscita dall’euro. Intanto la gente continua a indirizzare le proprie lamentele contro i partiti e le istituzioni nonostante il problema risieda più in alto, nelle leggi che regolano il funzionamento dell’euro e nelle politiche decise dalle Eurocrazie di cui i governi nazionali sono le semplici “cinghie di trasmissione". Più o meno corrotte sì, ma semplici “cinghie di trasmissione"  e, certamente paurosamente incompetenti, di volontà sovranazionali. Certo, l’opinione che il popolo ha delle istituzioni europee è crollata, ma al momento non ci sono state effettive conseguenze. L’appoggio alle politiche eurocratiche resta, sia pure inconsapevolmente e contraddittoriamente per quelle minoranze che ancora votano maggioritario, almeno per ora, e fino a quando resterà tale non ci sarà alcuna rivolta. E alla fine continueremo a sopportare una situazione che comunque la si consideri resta apparentemente intollerabile. Ciò almeno ancora per un anno. Fino al 2014 quando gli effetti della contrazione si manifesteranno in tutta la loro evidenza. Perchè? La risposta è semplice per l’Italia. Dal 2014 dovrebbe iniziare ad operare il dimenticato, ma non meno temibile, fiscalc compact, cioè il “rientro” ventennale del debito al 60% del PIL. Ciò significa ogni anno, per vent’anni, una manovra aggiuntiva di 40/50 miliardi di Euro. Ecco perchè il 2014 sarà un anno fitto di sorprese....
Il Cancelliere